24 | 25 | 26 Ottobre 2025
Monte Porzio Catone | Monte Compatri | Frascati
Siamo abituati a pensare il tempo come una sequenza di minuti, ore, giorni e anni che si succedono senza interruzione componendo, linearmente, le architetture del passato, del presente e del futuro. Tuttavia, questa concezione è tutt’altro che universale: il tempo è soggetto a molteplici interpretazioni che ne rivelano la natura irriducibile a una sequenza di frammenti sovrapponibili o a un insieme di unità misurabili. Nel corso della storia diverse tecnologie hanno attribuito ordine e strutture al tempo. Calendari, clessidre, orologi meccanici e digitali hanno prodotto forme “artificiali” di tempo che hanno plasmato l’esperienza di popolazioni e intere civiltà. Oltre agli strumenti di misurazione temporale, anche il linguaggio ha contribuito a questa costruzione: parole e concetti diversi, in contesti culturali eterogenei, hanno dato vita a significati ed esperienze temporali distinti.Le ricerche etnografiche condotte da B. Lee Whorf tra i popoli Hopi del sud est degli Stati Uniti hanno rivelato come la struttura linguistica determinasse la loro percezione di tempo e spazio. L’assenza di termini per indicare passato, presente e futuro corrispondeva a una concezione temporale non lineare che rendeva il tempo una realtà non quantificabile numericamente—qualcosa che, diversamente dalle lingue europee, non consentiva di collocare eventi o azioni in dimensioni temporali specifiche.Oltre alle tecnologie e alle varietà linguistiche, l’indefinibilità e la natura plurale del tempo trovano conferma negli studi scientifici.La teoria della relatività di Einstein ha radicalmente ridefinito il concetto di tempo rispetto alla fisica classica newtoniana: il tempo non è più assoluto né uniforme per tutti, ma dipende dalla posizione e dallo stato di moto dell'osservatore. Sotto l’influenza di gravità e velocità, eventi percepiti come simultanei da un osservatore possono apparire non simultanei a un altro situato diversamente—fenomeno noto come simultaneità relativa.La scoperta della tettonica a placche e della deriva dei continenti, la teoria dell'evoluzione e lo studio dei cambiamenti climatici hanno collocato la storia umana all’interno di macro-storie dalla durata che trascende ampiamente quella della civiltà e della specie sapiens. Abbiamo così compreso che non sono solo condottieri, eroi, popoli o civiltà a “fare la storia” attraverso le loro gesta. Batteri, virus, funghi, clima, minerali e vegetali ci hanno preceduti e certamente continueranno a esistere dopo l'estinzione della nostra forma di vita. La nostra storia e il nostro tempo—l'attimo presente—esistono solo in quanto parti di temporalità più vaste e durate che oltrepassano la nostra percezione. Le sequenze di DNA decifrate dalla bioinformatica attraverso il sequenziamento digitale promettono di resuscitare specie estinte, mentre parallelamente, tramite LLM e “intelligenza artificiale”, è già possibile far riemergere e riascoltare lingue scomparse. Superando la dicotomia passato-presente, queste nuove tecnologie ci consentono di abitare un tempo non diacronico—qualcosa di simile a quello che lo scrittore indigeno Ailton Krenak definisce “futuro ancestrale”.Benché il calendario ufficiale scandisca il passaggio degli anni e ogni compleanno aggiunga una candelina alla nostra età, il tempo non si lascia contenere in queste strutture: si espande liberamente in quegli istanti che perdurano e nelle tecnologie che spezzano le sequenze diacroniche, aprendo l’esperienza a un presente continuo e alle forme di una temporalità senza durata—disordinata, indicibile, inafferrabile.La terza edizione del Festival delle Connessioni “Transiti” ci invita alla ricerca di questo tempo non percepito.
Formatosi a Torino sotto la guida di Luigi Pareyson e in contatto con Gianni Vattimo e Umberto Eco, Mario Perniola è stato un filosofo di respiro internazionale, a stretto contatto con il movimento avarguandista “Internazionale Situazionista”, fondato da Guy Debord. Professore ordinario di Estetica prima all’Università di Salerno e poi all’Università di Roma Torvergata, è stato visiting professor in rinomati centri di ricerca e università in tutto il mondo (Francia, Danimarca, Brasile, Canada, Giappone, Usa e Australia).
Il suo pensiero, dapprima interessato alla filosofia della letteratura e alla controcultura, si è poi concentrato sul post-strutturalismo e sull’accezione di simulacro come “ciò che va aldilà del vero e del falso” e che per questo si accosta al gioco, all’arte e alla cultura. Il simulacro infatti comporta un mimetismo che fa emergere tutta la precarietà dell’esistenza e quindi la sospensione della soggettività individuale.
Intorno agli Anni ’90 Perniola estende la sua ricerca a nuovi campi del sapere, avvicinandosi al post-umano. Testo cardine di questo periodo è “Il sex Appeal dell’Inorganico”, in cui Perniola sostiene che la sensibilità contemporanea ha trasformato le relazioni tra cose e uomini. Già in “Del Sentire” Mario aveva tematizzato come ad influire sul modo di essere delle persone non fossero più le idee, quanto piuttosto un universo emozionale impersonale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui ogni esperienza si presenta come qualcosa di già sentito.
Perniola si è poi occupato di filosofia dei media. Nel testo “Miracoli e traumi della comunicazione” individua 4 eventi degli ultimi decenni del XX secolo che, presentandosi sotto il duplice aspetto del miracolo e del trauma, hanno offuscato la differenza tra reale e impossibile, aprendo all’epoca delle valutazioni arbitrarie